"Leggimi/tra le righe/anche quando la pagina è bianca/ raccontami una storia/a lieto fine [...]". Chiara Olivero, con i suoi versi, ci invita a prendere in mano quel foglio bianco che è la vita, per conoscerlo meglio. E proprio in sua compagnia, possiamo conoscere al meglio la sua storia e ciò che la sua arte, la poesia, mette a nudo di lei e delle sue emozioni. Una piccola intervista, da parte di tastingbooks, a una vera artista del sentimento e della parola. Buona lettura!
Parlaci un po' di te!
Sono piemontese ma vivo a Milano da più di 15 anni.
Di professione editor, amo i libri, la poesia, le parole.
Non posso vivere senza musica.
Non so stare a lungo lontano dal mare.
Se non mi trovi, cercami tra le colline del mio Monferrato.
Se vuoi farmi felice, portami a mangiare e a bere un bicchiere di vino.
Toro ascendente bilancia, ho la testa tra le nuvole ma i piedi ben piantati a terra.
Faccio sogni tridimensionali.
Il contrario dell’amore non è l‘odio ma l’indifferenza.
Il mio primo amore è stato la favola, poi ho incontrato la poesia e non ci siamo più lasciati.
La poesia è il mio superpotere.
Come hai scoperto la tua passione per la scrittura, in particolare per la poesia, e come l’hai coltivata?
A 8 anni scrivevo favole, guardavo il cielo e sognavo di fare la scrittrice. Qualche anno fa ho ritrovato a casa di miei genitori un quaderno, che avevo intitolato “Le storie d’oro”, da me scritte e illustrate. Ero affascinata dagli alberi, dalle stelle, dal volo degli uccelli… e dalle storie a lieto fine.
La passione per la scrittura poetica, invece, è nata più tardi, al liceo, studiando i classici della letteratura italiana e francese, gli autori latini e greci. In quel periodo, quello dell’adolescenza, ho iniziato a scrivere i miei primi timidi versi. Ho tenuto un diario per tanti anni.
Poi all’università mi sono iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia, laureandomi con una tesi sulla poesia di Giorgio Simonotti Manacorda, ricostruendone vita e opere, partendo da zero. Un lavoro di ricerca impegnativo ma appassionante che oggi mi piacerebbe proporre a un editore. Gli anni a seguire la vita ha preso il sopravvento… e mi sono persa.
Parlaci di come l’arte della scrittura ti ha conquistato.
"La letteratura, come tutta l'arte, è la confessione che la vita non basta" (Fernando Pessoa). Una decina di anni fa, in un momento personale di stallo, mi sono iscritta a un corso di scrittura creativa, tenuto in una libreria del mio quartiere, con il desiderio di riaprire quel cassetto in cui avevo lasciato i miei sogni di bambina.
Durante il corso tenuto da Roberto Agostini, giornalista e poeta, abbiamo esplorato diverse forme di scrittura, tra cui la poesia. Fu proprio allora che realizzai che la poesia era la mia voce, quella chiave perduta.
La mia prima raccolta di poesie “Geometrie della notte“, pubblicata nel 2014 da Puntoacapo editrice, è nata in quegli anni.
Dalla pubblicazione del primo libro sono nate le prime collaborazioni artistiche che mi hanno arricchito molto (non economicamente, eh!).
Partecipo agli eventi organizzati da Underground - distribuzioni alternative? nei locali, nelle librerie e a teatro, mettendoci non solo le poesie ma anche la faccia.
Mi trema la voce, ma la poesia è più forte di me.
Mi interessa il connubio tra la poesia e le altre altri, il dialogo tra linguaggi diversi, ma non poi così distanti.
Insieme alle amiche poetesse Angela Lombardozzi e Cristina Onofri fondiamo un collettivo femminile chiamato Vuoto3 – Lyric group: scriviamo poesie a tre mani seguendo il metodo della scrittura automatica adottato dai surrealisti, esibendoci con base musicale e immagini video da noi girate in sottofondo. Infine, collaboro con la rock band Negromanti: la mia poesia „Eternit-à“ entra a far parte di una loro canzone, „Una città tranquilla, dedicata a Casale Monferrato – la nostra città - e al dramma dell’amianto.
Quando scrivi hai già tutto in mente o elabori strada facendo?
Dipende. Condivido il pensiero di Borges: “Ogni poesia è misteriosa, nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso scrivere”.
Alcune poesie nascono da un’idea precisa, altre da un’emozione, un’immagine, una visione. Se ho un’illuminazione cerco di afferrarla: prendo appunti sulle note del telefono, sul taccuino che ho in borsa, ovunque io sia: nel traffico della città, al mercato, sul tram, mentre sto leggendo un libro, a letto. Oppure, se qualcosa mi ha colpito, cerco di fermare quell’attimo scattando una foto. Il testo lo sviluppo successivamente, in silenzio e solitudine. La poesia richiede disciplina, dedizione, scavo interiore… non è un hobby. Come ho scritto in un mio testo, al momento inedito: “Scrivere poesie è immergersi in un luogo sacro,/ fare l’amore con i propri demoni,/ scendere in abissi sconosciuti,/ riemergere con la pazienza dell’attesa.” Scrivere è un viaggio misterioso e spesso ciò che si ha da dire lo si scopre solo lungo il cammino.
Hai delle abitudini particolari durante la scrittura?
No, non ho mai avuto abitudini particolari, anche se il mio primo libro è nato di notte. In quest’ultimo periodo, invece, complice lo smartworking, la mattina mi alzo presto e scrivo, anche solo un pensiero… per ricordare a me stessa di essere viva.
Dove trovi l’ispirazione?
La trovo affacciandomi nel mio paesaggio interiore, ma anche guardando “fuori dalla finestra”. Nell’ultimo libro affronto a mio modo anche alcune tematiche che ci riguardano tutti: la violenza sulle donne, l’immigrazione, il terrorismo. Credo che la poesia abbia il dovere di non chiudere gli occhi di fronte al dolore del mondo. E poi dalla musica, dal cinema, dall’arte, dai libri che leggo. L’incontro con la scrittura di alcuni autori ha senza dubbio influenzato il mio sguardo: Emily Dickinson, Antonia Pozzi, Cesare Pavese, Pablo Neruda, Raymond Carver, Fernando Pessoa, Marina Cvetaeva, Cristina Campo, Wislawa Szymborska, Sylvia Plath, Chandra Livia Candiani, per citarne alcuni.
Come è cambiata la tua vita scrivendo?
È cambiata in meglio… mostrare le mie fragilità mi ha reso più forte. Ogni giorno mi guardo allo specchio e mi riconosco.
E poi, scrivere mi ha aiutato a tessere rapporti più autentici con le persone, quelle che fanno parte della mia vita reale, ma anche con la mia nicchia di lettori che non conosco di persona e che mi seguono sui social. La scrittura crea legami, connessioni invisibili… in fondo guardiamo tutti lo stesso cielo.
Mi dà gioia la condivisone con l’altro: sapere di aver regalato un’emozione, di aver dato voce a chi quelle parole non è riuscito trovarle, di aver offerto, nel mio piccolo, uno spunto di riflessione.
Come è nata questa raccolta di poesie?
“Tutte le distanze” è una raccolta di 40 poesie (il numero non è casuale!) che ho scritto tra il 2014 e il 2019, pubblicata nel 2020 da Puntoacapo editrice. Il fil rouge che le lega è il tema della distanza - tutte le distanze - che ricorre e percorre i versi. In quegli anni rimasi folgorata dalla musica del cantautore milanese Diego Mancino, in particolare da una canzone, “Tutte le distanze”, da qui l’idea del titolo. Il libro, pur essendo stato concepito molto prima, è uscito proprio nel momento in cui la parola “distanza” era sulla bocca di tutti. La poesia, si sa, arriva sempre prima.
Personalmente ho sempre pensato che l’arte di far poesia sia terribilmente soggettiva. Come si riesce a trasmettere tante emozioni, spesso private, al pubblico?
Credo che la forza di una poesia sia la sua autenticità… ma ci si può scoprire senza scoprirsi del tutto: “Di la verità, ma dilla obliqua”, risuonano i versi di Emily Dickinson. La poesia è una porta aperta, non è mai univoca: ognuno vi può leggere un messaggio diverso, il proprio. Più una poesia affonda le radici nella verità, più arriverà lontano. Ed è solo dal particolare che si può afferrare l’universale.
“Tutte le distanze”: quale risulta la più incolmabile e pesante nella vita di una persona?
Credo quella con se stessi: alcuni non si incontrano mai, vivono una vita che non è la loro, seguono strade già tracciate da altri perché apparentemente più sicure… sono felici? Non se lo chiedono, perché mettere in dubbio le proprie certezze significherebbe far crollare tutto.
La vita è troppo breve per vivere la vita di qualcun altro.
A quale, tra le poesie che hai raccolto in questo libretto, sei più legata, e perché?
La prima e l’ultima. La prima è un canto d’amore, esprime il desiderio di sentirsi compresa e amata nella propria unicità, come donna ma anche come poeta. È una delle poche poesie “nate libere” e forse proprio per questo motivo ha viaggiato nella rete. Fa così: “Leggimi/tra le righe/anche quando la pagina è bianca/ raccontami una storia/a lieto fine/fammi sentire di nuovo bambina/ dimmi/che non è mai stata scritta/poesia/più bella di me.” L’ultima, invece, è una poesia d’amore per me stessa, un amore conquistato… la poesia che ognuno dovrebbe dedicarsi. S’intitola “Specchio”: Guardami,/ci ho messo una vita/per essere me stessa.”
Quanto conta la musicalità in un componimento poetico? Fai caso all’importanza di alcune figure retoriche, per esempio, o scrivi a getto senza far troppo caso agli elementi lessicali?
La musicalità in una poesia conta tantissimo. La poesia già nell’antica Grecia era inseparabile dalla musica. Le parole sono per il poeta come le note per il musicista. Come ho accennato prima, scrivo di getto ma il vero lavoro sul testo avviene dopo. Ogni poesia nasconde un grosso lavoro di labor limae: le parole vanno scelte con cura, finché diventano insostituibili, le parole giuste al posto giusto. Le figure retoriche si affinano con la tecnica. In poesia, come in ogni forma d’arte, cuore e tecnica devono coesistere: non esiste arte senza tecnica, non esiste arte senza cuore.
Poche righe per invogliare un lettore a prendere in mano il tuo libro e a tuffarsi nella tua storia.
La poesia annulla tutte le distanze!
Hai qualcosa in cantiere? Un nuovo libro?
Non nell’immediato… i tempi di gestazione della mia scrittura sono sempre molto lunghi. Però ho qualche idea.
Nel frattempo sto mettendo i primi semi per alcuni progetti personali a cui tengo molto e che, con il tempo, spero diano fiori e frutti. Credo nel potere terapeutico della parola. Mi piacerebbe portare la poesia nei luoghi in cui ce n’è più bisogno: negli ospedali, nelle carceri, nei ricoveri per anziani… la poesia è un dono che va condiviso.
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